domenica 20 febbraio 2011

“Cieli di Terra”, raccolta poetica con quattro autori, Rupe Mutevole Edizioni


Anime in volo:/ io sono falco/ e tu l’aquila reale/ siamo caduti in volo/ ed in quell’immensità/ ci siamo scontrati, feriti/ ma l’amore, quello vero/ ci ha curati./ Abbiamo curato le nostre anime e poi le nostre ali/ ora siamo liberi di volare/ io nel tuo cielo/ tu nel mio/ ed ora quel cielo è tutto nostro/ è l’infinito/ e con noi porteremo tutti coloro che amiamo/ e insieme voleremo/ e insieme supereremo le bufere/ fino a ritrovare il nostro mondo/ dove c’è musica e poesia.” “Anime in volo” – Cristina Pelucchi
La metafora del volo come libertà del verso poetico. La Pelucchi contorna il suo pensiero con le grandi anime del cielo, l’aquila ed il falco, così che anche loro da eterni rivali possano dopo lo scontro guardare avanti e cercare di ricostruire. Così avviene per la poesia: dopo lo scontro di idee si riesce ad amalgamare diverse parole per esplicitare il proprio pensiero.
Cieli di Terra”, edita nel 2010 dalla casa editrice Rupe Mutevole Edizioninella collana “Poesia e Vita”, è una raccolta di poesie di 74 pagine divisa in 4 sillogi. Ogni silloge ha un diverso autore ed abbiamo “Birbenbiree” di Valentina Franco, “Arterie” di Salvatore Gurrado, “Schegge di vite al tramonto” diGiustino Mucci, “La luce nei diamanti” di Cristina Pelucchi. “Cieli di Terra” è un’occasione di scambio culturale, i quattro autori palesano le loro poetiche solidificando la vera ambizione della poesia: la comunicazione. La prefazione è a cura del giornalista e critico letterario Alessandro Spadoni.
Rintoccano le campane/ la chiesa del paese/ scandisce le parole/ non più suono ma labiale.// Assordante tintinnare nel giorno festivo/ i vecchi paesani campeggiano le panche/ gli abiti sgualciti;/ i giovani, scesi dalle macchine lucenti/ i piedi freneticamente lenti/ su misura gli abiti/ simboli d’una modernità apparente.” “Anacronismi” – Giustino Mucci
Un forte simbolismo traspare dalla lirica di Giustino Mucci. “Anacronismi” rivela sin da primo verso una nostalgica sensazione che non si esaurisce con l’ultima parola ma che permane salda nella mente, quasi come se quel rintocco di campane sia un reale ricordo di ogni lettore. La sensazione di essere entrambe le categorie, i vecchi ed i giovani, addolcisce la carica di cianuro dell’ultimo verso.
“ Ti recupero in un sogno,/ ricordava la mia calma,/ dopo te ne vai,/ ti lascio andare./ Un’altra vita nel sogno./ nei giardini della mia infanzia rubata./ Un insolito destino./ Colori attraverso le finestre aperte./ L’attimo della morte,/ che visse nel respiro più vivo./ Ti recupero nel sogno di questa pagina,/ ti avvolgo in qualche modo./ Ti trattengo, ma rimani in questi due modi,/ mi piace volerti bene così da sveglio.” “(Nel mio sogno svanito)” – Salvatore Gurrado
E con Gurrado ci spostiamo, invece, nell’intimità di un uomo con se stesso. La lucidità con la quale l’autore vive il sogno desta nel lettore una sana complicità. Il punto di forza  è la punteggiatura precisa ed impellente quasi che la musicalità della poesia fosse la protagonista stessa del pensiero, fosse per l’appunto lo stesso respiro.
Nella silloge “Birbenbiree”, Valentina opta per la soppressione dei titoli. I versi sono fluidi e ruvidi allo stesso tempo, notevole l’uso retorico della personificazione e della metafora. La poca punteggiatura e la caratteristica brevitas rendono le liriche dotate di un fascino antico.
È me che/ vuoi/ in quest’ultimo/ bacio./ È me, che/ tradisci./ In questo cerimoniale/ parole di velluto/ non vedo l’Oltre./ Voglio l’ardore/ di quelle fiamme/ poi sparirò/ Senza far rumore./ Guerra e pace/ Dentro il mio sentimento./ Amore ed odio: la sentenza./ Plumbea piuma/ cela/ L’imbroglio./ Solo sangue piangono i tuoi occhi/ non voli più.” – Valentina Franco
Lascio link utili per visitare il sito della casa editrice:
Alessia Mocci
Responsabile Ufficio Stampa Rupe Mutevole Edizioni

Salvatore Gurrado: tratto da un sogno di rivolta, cercasi pazzo editore. capitolo metropoli e cittadino.frammenti di un monotype corsive

tratto da un sogno di rivolta, cercasi pazzo editore. capitolo metropoli e cittadino.frammenti di un monotype corsive

Ormai era notte fonda scivolava via come il liquido che ha investito il mio corpo, mentre riprendevo la scienza della liberazione (Marx) e il tempo della rivoluzione (Potere Operaio) domani in facoltà. Mentre andavo nell’università libera di Alcatraz divisa tra Show man, porta borse, e servili, sulla strada incontrai uno strano compagno di Viaggio senza fissa dimora, uno di quei compagni in cui il capitalismo gli ha tolto il diritto al corpo, lo strano compagno Cesare, vestito da insorto, vestito di Ragione e Rivolta, indossava un camice nero, pantaloni a sbaffo, stivali gialli. E portava un gran colletto alla marinara che gli ricadeva sulle spalle. Rimasi sorpreso in quella giornata tanto piena di gente quanto sempre più sola nella sua solitudine. Me ne sorpresi e gli dissi Cesare come ti sei conciato? Lui mi disse con aria svagata che ogni ora vuole la sua veste, e cosi come ogni mestiere?La toga per il magistrato, la tonaca al prete, l’uniforme al soldato. E il beverino all’insorto dissi io. Proprio fece lui. La mia ricerca nella razionalità complessa vede in Cesare quell’acuta osservazione dei margini del di dentro di un’immagine capovolta ma lucida, quello spazio dedicato alla differenza delle differenze, l’insorto ora che senso ha? Cesare ma se la rivoluzione e ormai finita? Questo lo pensi te fece lui, l’insurrezione non deve finire mai contro il Capitale, poiché l’insurrezione e il rinnovare il mondo. Cesare senza fissa dimora ritrova la Bellezza norie della femme norie, vestita del suo colore che è vita della sua forma che è Bellezza, l’essere cresciuti nella passione della luce quel «idea che nei più oscuri recessi della corporeità sia depositata una forma di sapere irriducibile alla ragione discorsiva. Bellezza che ritrovai che bendava i miei occhi quella mattina, ella mi disse non mi dire più niente. Ti prego fece lei a un tratto “Stringimi forte”. Anzi facciamo l’amore. Si certo, andiamo a casa. No, niente casa disse lei. Ma come? Qui? Subito? Si subito. In pieno giorno? Si in pieno giorno? E non hai vergogna? No, non ho vergogna perché fare l’amore, non è vergogna, vergogna e trucidare come fanno i tedeschi. L’insurrezione è l’amore, è amore, e il momento in cui si sceglie l’atto d’amore, come l’intimo respiro. L’amore non è vergogna, poiché è integrazione tra singolarità diverse, l’amore è integrazione sublimare della relatività singolare in noi. La vergogna sta dalla parte dello sguardo, e il mio legame con la presenza d’altri a me è l’oggettità. La mia coscienza con quella d’altri, nella quale altri devono presentarmisi direttamente come soggetto quantunque in legame con me, che è il rapporto fondamentale del carattere stesso del mio essere per altri. Il mio peccato originale è l’esistenza dell’altro, e la vergogna è come la fierezza, l’apprensione di me stesso come natura, anche se questa natura mi sfugge ed è inconoscibile come tale.
http://www.express-news.it/?p=53006